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Laura Santi: “Ricordatemi Come una Donna che ha Amato la Vita”. La Storia, la Battaglia e il Testamento della Giornalista che ha Scelto la Libertà

Nella quiete di un mezzogiorno di luglio, in una casa di Perugia che per anni era stata teatro di amore, sofferenza e lotta, Laura Santi ha compiuto il suo ultimo, definitivo atto di libertà. Il 21 luglio 2025, circondata dall’affetto incrollabile del marito Stefano, la giornalista e attivista di 50 anni si è auto-somministrata il farmaco che le avrebbe permesso di porre fine a un’agonia diventata intollerabile. Non è stato un addio sussurrato nella disperazione, ma un’affermazione lucida e potente, il culmine di una battaglia legale e burocratica durata quasi tre anni. Le sue parole, affidate all’Associazione Luca Coscioni, risuonano come un inno alla vita, proprio nel momento della sua fine: “Io sto per morire. Non potete capire che senso di libertà dalle sofferenze, dall’inferno quotidiano che ormai sto vivendo”.  

In questa frase è racchiuso il paradosso che ha definito la sua esistenza e la sua lotta: come può una donna che amava la vita con una “fame disperata” combattere con tanta determinazione per il diritto di lasciarla? La sua morte non è stata una sconfitta, ma la vittoria più grande: la conquista del diritto di scegliere, di essere padrona del proprio destino fino all’ultimo respiro. È stata la prima persona in Umbria, e la nona in Italia, a percorrere questa strada legale, trasformando la sua vicenda personale in un capitolo fondamentale della storia dei diritti civili nel nostro Paese. Per comprendere la portata del suo gesto, è necessario riavvolgere il nastro e raccontare chi era Laura Santi, la donna, la giornalista, l’amante della vita la cui lotta non era per la morte, ma per la dignità di ogni singolo istante vissuto.  

“Una Fame Disperata di Vita”: La Giornalista, l’Amore e la Malattia

Nata a Perugia nel 1975, Laura Santi era una forza della natura, una giornalista con la passione per la scrittura e la comunicazione che scorreva nelle vene. Dopo gli studi in Comunicazione all’Università per Stranieri, si era immersa nel mondo del giornalismo locale, lavorando per quotidiani, televisioni e web, lasciando un’impronta di intelligenza e passione ovunque andasse. La sua vita era un mosaico di viaggi, nuotate, corse: un’esistenza piena, vibrante, proiettata verso il futuro.  

Poi, a 25 anni, nel 2000, un’ombra si allunga sulla sua strada. Inizia con quello che sembra un “banale disturbo all’occhio destro”, un’infiammazione del nervo ottico. La sua reazione iniziale, quasi scherzosa, rivela tutta la spensieratezza della sua gioventù: “Meglio, così non devo mettere gli occhiali…”. Ma la diagnosi che segue è di quelle che spaccano la vita in un prima e un dopo: sclerosi multipla.  

Quattro anni dopo, a 29 anni, incontra Stefano Massoli. Con una sincerità disarmante, Laura mette subito le carte in tavola: “C’è anche la malattia nella mia vita. E peggiorerà”. Stefano non fugge. Resta, e da quel momento diventa il suo compagno di vita, il suo tutto. Il loro amore, costruito sulla verità e su una complicità profonda, diventa la loro fortezza. Un legame capace di resistere a tutto, nutrito di ironia e persino di “cazzeggio”, come amava dire lei, anche nel cuore della tragedia.  

Per molti anni, la malattia “è stata buona con me”, racconterà Laura. Non si arrende, non si ferma. Adatta la sua vita, ma non rinuncia alle sue passioni. Impara a sciare con sci modificati, nuota finché le braccia glielo consentono, lavora al computer finché le dita riescono a premere i tasti. Questo periodo è perfettamente incarnato dal nome che sceglie per il suo blog: “La vita possibile”. Non è un titolo rassegnato, ma un manifesto programmatico. La sua non è una vita di rinunce, ma di possibilità reinventate. È proprio in questa fase che emerge una verità fondamentale: la sua identità di giornalista non è solo un dettaglio biografico, ma l’arma più potente che userà nella sua futura battaglia. La sua capacità di raccontare, di articolare il dolore e la speranza con uno “stile diretto e poetico” e una “schiettezza” disarmante , trasformerà la sua lotta personale in una causa nazionale. Non sarà solo una paziente, ma una narratrice, capace di dare forma a una storia che nessuno potrà più ignorare.  

La Svolta: Quando il Corpo Diventa una Prigione

Il 2014 segna un punto di non ritorno. La malattia, fino ad allora gestibile, vira verso una forma progressiva. È, come la descriverà lei stessa, “una porta che non avrei mai voluto attraversare, perché non prevede ritorno”. Il declino diventa rapido e feroce. Nel 2016, in soli dieci mesi, perde l’uso delle gambe e finisce definitivamente su una sedia a rotelle. Il suo corpo, un tempo strumento di libertà e passione, diventa una prigione.  

La realtà quotidiana si trasforma in un inferno. Diventa tetraplegica, perdendo l’uso delle braccia e del tronco. La sua vita è scandita da una dipendenza totale e umiliante: deve essere sollevata, portata in bagno, pulita, imboccata. A questo si aggiunge un quadro clinico devastante: vescica e intestino neurologici con necessità di cateterismo e infezioni ricorrenti, doppia incontinenza, spasticità severa, epilessia e una “fatica centrale” clinicamente definita, che la costringe ogni giorno a letto, per ore, nel silenzio e nella penombra.  

Eppure, anche in questo abisso, la sua volontà non si spezza. Si aggrappa alla riabilitazione come a un’ancora di salvezza, definendola una questione di “vita o morte”. Si sottopone a sessioni di terapia estenuanti, quasi “da marines”, che includono terapia manuale, robotica ed elettrostimolazione. E ottiene piccole, immense vittorie, come quando, dopo 40 giorni di ricovero, riesce a risalire i 60 scalini che la separano da casa sua, un “miracolo” che le restituisce un frammento della vita che le veniva strappata via.  

Questa determinazione a lottare per ogni centimetro di autonomia rende ancora più potente la sua successiva richiesta. La sua idea di dignità non è un concetto astratto, ma qualcosa di fisico, legato alla capacità di compiere i gesti più semplici. Le sue descrizioni dettagliate e senza filtri della sua decadenza fisica non sono un lamento, ma una cronaca giornalistica precisa e spietata. Sono la documentazione di ciò che le veniva rubato, la prova inconfutabile che la sua futura richiesta di autodeterminazione non nascerà da una mancanza di amore per la vita, ma da una valutazione lucida e razionale: le condizioni della sua esistenza erano diventate un’intollerabile negazione di quella stessa dignità per cui aveva sempre combattuto. Sentirsi “in trappola”, come dirà, è una “seconda malattia”. Ed è da quella trappola che, con tutte le sue forze, deciderà di liberarsi.  

Un’Unica Battaglia in Due: L’Amore e il Sacrificio di Stefano

Al centro dell’universo di Laura c’è sempre stato Stefano Massoli. “Lui non è mio marito, è il mio tutto, un uomo immenso”, dirà di lui. Stefano è la roccia, il compagno, l’amore che non vacilla, presente dal primo giorno della diagnosi fino all’ultimo secondo della sua vita. Ma anche la roccia più solida può iniziare a franare sotto un peso insostenibile.  

Laura, con la sua sensibilità di scrittrice, vede e racconta il logoramento del suo “soldato stanco”. Scrive con pudore e strazio: “La mia roccia comincia a franare”. La sua non è solo una preoccupazione personale, ma una lucida analisi di un sistema che lascia i caregiver in una solitudine devastante. La sua domanda, “Se lui crolla, io cosa faccio?”, non è un’interrogazione d’amore, ma una “domanda di sistema”. Stefano si spezza la schiena ogni giorno per alzarla, lavarla, medicarla, combattendo contro i suoi stessi dolori e l’età che avanza. È un “fantasma per lo Stato”, un eroe civile senza tutele, senza contratto, senza diritti.  

In questo modo, Laura compie un’operazione di straordinaria intelligenza attivista: trasforma la sua storia d’amore, la parte più intima della sua vita, in una potente denuncia sociale. Usa il sacrificio di Stefano come prova inconfutabile della crisi di un welfare che ignora chi si prende cura degli altri. La sua battaglia per il fine vita diventa, quindi, anche una battaglia per il diritto a un’assistenza dignitosa, per il riconoscimento del lavoro di cura, per una società che non dia per scontato l’annullamento di una persona per assisterne un’altra.

E Stefano condivide questa battaglia fino in fondo. Rispetta la scelta di Laura, anche se significa accettare di perderla, perché la loro è una lotta comune per la libertà. La loro unione, forgiata nel dolore ma cementata da un amore e da una convinzione incrollabili, diventa il simbolo più potente di una lotta che va ben oltre le mura della loro casa a Perugia.  

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“Voglio Essere Libera, Non Prigioniera”: La Lotta Contro lo Stato per il Diritto di Morire

La battaglia di Laura per l’autodeterminazione si scontra con un muro di gomma istituzionale, un vuoto legislativo che trasforma l’esercizio di un diritto in un’odissea burocratica. Il Parlamento italiano, sordo ai richiami della società civile, non ha mai approvato una legge sul fine vita. A colmare parzialmente questo vuoto è la storica sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, nota come “sentenza Cappato”, che depenalizza l’aiuto al suicidio a patto che siano rispettate quattro condizioni: una patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili, che tiene in vita la persona grazie a trattamenti di sostegno vitale, con il paziente pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.  

Laura possiede tutti e quattro i requisiti. Il 20 aprile 2022, assistita dall’Associazione Luca Coscioni, presenta la sua richiesta formale all’ASL Umbria 1. Inizia così un calvario che lei stessa definirà la “lotteria del fine vita”, dove i diritti di una persona dipendono dal codice di avviamento postale e dalla sensibilità dei funzionari locali. Per mesi, la sua richiesta cade nel vuoto. Il silenzio delle istituzioni la costringe a una guerra di carte bollate: due denunce, due diffide formali, un ricorso d’urgenza e una querela per omissione di atti d’ufficio.  

La tabella seguente riassume la cronologia di una battaglia che non è solo legale, ma è una lotta contro il tempo e contro un sistema che sembra progettato per sfinire chi chiede solo di essere ascoltato.

DataEventoSignificatoFonte/i
20 Aprile 2022Laura Santi presenta la richiesta ufficiale di verifica per il suicidio medicalmente assistito.Inizia ufficialmente il suo percorso legale e burocratico durato quasi tre anni.
2022 – 2024L’ASL Umbria 1 non fornisce risposte, lasciando la richiesta in un limbo di silenzio istituzionale.Questa inerzia costringe Laura a intraprendere un’azione legale per far valere un suo diritto.
Durante questo periodoVengono presentate due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e una querela.Dimostra le misure estreme necessarie per obbligare lo Stato ad agire su un diritto già sancito.
Novembre 2024Il collegio medico dell’ASL conferma finalmente che Laura possiede tutti i requisiti legali.Una vittoria cruciale, ma la battaglia non è finita. Il diritto è riconosciuto sulla carta ma non ancora attuabile.
Nov 2024 – Giu 2025L’ASL non fornisce il protocollo farmacologico necessario per la procedura.Un ulteriore ostacolo burocratico che le impedisce di esercitare il suo diritto.
Giugno 2025Il comitato etico approva finalmente il protocollo farmacologico.Laura è finalmente libera di scegliere. Annulla la sua prenotazione in una clinica svizzera.
21 Luglio 2025Laura Santi muore a casa sua tramite suicidio medicalmente assistito.Il culmine della sua lotta, esercitando la sua libertà conquistata alle sue condizioni.

Finalmente, nel giugno 2025, ottiene il via libera definitivo. Quel “pezzo di carta”, come lo chiamerà, diventa per lei “la miglior cura palliativa che esista”. Non perché la spinga a morire, ma perché le restituisce il controllo, la libertà. La sua decisione di annullare il viaggio in Svizzera è un atto politico potentissimo: non sarà più costretta a un esilio per morire, ma potrà farlo nel suo letto, a casa sua, in Italia.  

Da Sofferenza a Rivoluzione: La Voce di Laura Santi nell’Attivismo Civile

La battaglia di Laura Santi non è mai stata solo personale. Come consigliera generale dell’Associazione Luca Coscioni , ha trasformato la sua sofferenza in una piattaforma per una rivoluzione civile. È stata un volto e una voce chiave nella campagna per il referendum sull’eutanasia legale, mettendo a disposizione la sua storia con una generosità e un coraggio disarmanti.  

La sua analisi politica era affilata come un bisturi. Non ha mai esitato a denunciare “l’incompetenza della politica” e “l’ingerenza cronica del Vaticano” come le cause principali della paralisi legislativa sul fine vita. Ma non si è limitata alla critica. Ha lanciato un appello diretto ai cittadini: “Pretendete invece una buona legge, che rispetti i malati e i loro bisogni. […] non restate a guardare, ma attivatevi”.  

Forse, però, il suo più grande capolavoro politico è stato un incontro. Un’attivista atea e sbattezzata che dialoga con l’arcivescovo di Perugia, Mons. Ivan Maffeis. Invece di uno scontro tra dogmi, ne è scaturito un momento di profonda umanità. Il vescovo, presentatosi semplicemente come “don Ivan”, ha ascoltato la sua sofferenza e ha pronunciato parole che hanno scosso le fondamenta del dibattito: “Chi sta fuori da queste sofferenze […] deve inchinarsi a voi. Noi non dobbiamo mettere bocca su cosa fate”. Questo dialogo ha dimostrato che è possibile spostare la discussione dal piano ideologico a quello della compassione e del rispetto umano, offrendo un modello di discorso civile quasi rivoluzionario per l’Italia.  

La sua città, Perugia, le ha infine reso l’onore più alto, conferendole il Baiocco d’Oro. La sindaca Vittoria Ferdinandi ha colto l’essenza della sua lotta, affermando che quella di Laura “non era per la morte, ma per la vita” e che ha saputo trasformare “un dolore individuale atroce in una battaglia per gli altri”. Un riconoscimento istituzionale che ha cementato la sua eredità, non come vittima di una malattia, ma come protagonista della storia dei diritti.  

L’Eredità di una Scelta: “Vi Porto con Me, Non Vi Stancate di Combattere”

Le ultime parole di Laura Santi, affidate a una lettera d’addio, non sono un testamento di dolore, ma un manifesto di vita e un’ultima, potente lezione di giornalismo. Sono state scritte con una lucidità e una forza pensate per lasciare un segno indelebile, per essere citate, condivise e trasformate in un motore di cambiamento.

Il suo messaggio è un intreccio di amore e lotta. Da un lato, l’inno alla vita: “Ricordatemi come una donna che ha amato la vita”. “Me ne vado avendo assaporato gli ultimi bocconi di vita in maniera forte e consapevole”. E un ultimo, commovente regalo di gratitudine a chi l’ha sostenuta: “Io mi porto di là un sacco di bellezza che mi avete regalato”.  

Dall’altro, il comando, il passaggio del testimone: “E nel ricordarmi non vi stancate mai di combattere. Vi prego, non vi rassegnate mai […] anche quando le battaglie sembrano veramente invincibili”. Queste non sono le parole di una persona che si arrende, ma di un leader che affida una missione alla sua comunità.  

Laura Santi non ha perso la sua battaglia contro la sclerosi multipla. Ha vinto la sua battaglia per la libertà. Ha costretto un intero paese a guardare in faccia una realtà scomoda, ha dato un nome e un volto a un diritto negato e ha dimostrato che l’espressione più alta dell’amore per la vita può essere, paradossalmente, la rivendicazione del diritto di lasciarla con dignità. La sua morte non è stata la fine della sua storia, ma il suo inizio. La sua richiesta, “ricordatemi”, non era una preghiera, ma un ordine. Un ordine di continuare a lottare, perché la libertà, come la vita, va difesa fino all’ultimo respiro.

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