
La Fine di una “Bromance” e l’Inizio di una Guerra Politica
All’inizio di giugno 2025, il mondo ha assistito in tempo reale alla spettacolare implosione di una delle alleanze più potenti e anomale della politica americana. Su un campo di battaglia digitale che loro stessi avevano contribuito a plasmare, il Presidente Donald Trump e il suo ex “First Buddy”, Elon Musk, hanno dato vita a una faida pubblica di una ferocia senza precedenti. Musk, che solo pochi mesi prima era stato acclamato da alcuni come un “Presidente Ombra” o un “co-presidente non ufficiale” per la sua influenza onnipresente nell’amministrazione , si è trasformato nel più acerrimo critico del Presidente.
Il casus belli è stato un colossale pacchetto di tagli fiscali e spese, fiore all’occhiello dell’agenda di Trump, noto come il “One Big Beautiful Bill”. Per Musk, questa legge era una “disgustosa abominazione” , un atto di irresponsabilità fiscale che avrebbe spinto l’America verso la bancarotta, vanificando il suo stesso lavoro a capo del Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE). La sua opposizione non è stata sussurrata nei corridoi del potere, ma gridata a gran voce sulla sua piattaforma X, scatenando una reazione a catena che nessuno avrebbe potuto prevedere.
Lo scontro è degenerato rapidamente, superando i confini di un semplice disaccordo politico. Trump, sentendosi tradito, ha minacciato pubblicamente di azzerare miliardi di dollari in sussidi federali e contratti vitali per le aziende di Musk, Tesla e SpaceX, un attacco diretto al cuore del suo impero industriale. La risposta di Musk è stata nucleare: in un tweet poi cancellato, ha lanciato l’accusa incendiaria che il nome di Trump fosse presente nei sigillati file di Jeffrey Epstein, suggerendo che questo fosse il vero motivo per cui non erano stati resi pubblici. In pochi giorni, l’alleanza si è trasformata in una guerra totale, personale e senza esclusione di colpi.
Questa rottura esplosiva, tuttavia, non è stata un fulmine a ciel sereno. È stata la drammatica conclusione di una relazione durata quasi un decennio, un’altalena di pragmatismo, divergenze ideologiche e ego smisurati. Per comprendere come si è arrivati a questo punto, è necessario ripercorrere l’intera saga, dai cauti primi contatti nel 2016, alla prima rottura per motivi climatici, alla sorprendente riappacificazione nel 2024, fino all’audace e forse sconsiderata scommessa di Musk nel 2025: la creazione di un suo partito politico, l’America Party, per sfidare l’uomo che aveva contribuito a riportare alla Casa Bianca.
Anno/Periodo | Evento Chiave |
2016 | Musk definisce Trump “non la persona giusta” ma, dopo le elezioni, accetta di entrare nei suoi consigli consultivi. |
Giugno 2017 | Musk si dimette platealmente dai consigli presidenziali in protesta contro il ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi sul clima. |
2022 | Scontro pubblico: Trump definisce Musk un “artista della stronzata”. Musk, dopo aver acquisito Twitter, riammette l’account di Trump. |
2024 | Musk diventa il più grande donatore individuale di Trump, spendendo 277 milioni di dollari per la sua campagna. Dopo la vittoria, viene nominato a capo del Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE). |
Maggio 2025 | Musk lascia l’amministrazione a causa di profondi disaccordi sul “Big Beautiful Bill”. |
Giugno 2025 | Scoppia una guerra totale sui social media tra i due, con minacce e accuse reciproche, inclusa quella sui file di Epstein. |
Luglio 2025 | In risposta alla rottura, Musk annuncia la fondazione del suo partito politico, l’America Party. |
Un’Alleanza Cauta (2016-2017) – La Prova del Clima
Scetticismo Iniziale e Pragmatismo Post-Elettorale
Prima di diventare un alleato chiave e poi un acerrimo nemico, Elon Musk nutriva un profondo scetticismo nei confronti di Donald Trump. Durante la campagna presidenziale del 2016, Musk non nascose la sua preferenza per il campo opposto, sostenendo e votando per Hillary Clinton. In un’intervista a CNBC nel novembre 2016, poco prima delle elezioni, fu categorico, affermando che Trump “probabilmente non è la persona giusta” per la presidenza. Andò oltre, criticandone il carattere, che a suo dire “non si riflette bene sugli Stati Uniti”. La sua era una posizione radicata in una visione del mondo che sembrava antitetica a quella del candidato repubblicano.
Tuttavia, la sorprendente vittoria di Trump cambiò le carte in tavola, costringendo Musk, come molti altri leader della Silicon Valley, a ricalibrare il proprio approccio. Invece di rimanere un critico esterno, scelse la via del pragmatismo. Nel dicembre 2016, con una mossa che sorprese molti, accettò la nomina di Trump per entrare a far parte del suo Strategic and Policy Forum, un gruppo di consulenza economica che includeva alcuni dei più importanti CEO d’America, come quelli di Uber e PepsiCo. La logica di Musk era chiara e fu lui stesso a esplicitarla: era meglio avere un posto al tavolo che urlare da fuori. Si presentò come una “voce della ragione” all’interno di un’amministrazione imprevedibile, sperando di poter influenzare le decisioni su temi a lui cari, in particolare la transizione verso l’energia sostenibile e la lotta al cambiamento climatico. In una serie di tweet, spiegò che attaccare semplicemente il presidente non avrebbe “portato a nulla” e che era fondamentale mantenere “canali di comunicazione aperti” per tentare di indirizzare le politiche nella giusta direzione.
La Prima Rottura: L’Accordo di Parigi sul Clima
Questa alleanza di convenienza fu messa a dura prova fin dall’inizio. Musk si trovò a dover difendere la sua collaborazione con un’amministrazione le cui prime mosse, come il “travel ban” contro i cittadini di sette nazioni a maggioranza musulmana, erano in netto contrasto con i valori liberali della Silicon Valley. Musk sostenne di aver usato la sua influenza per mettere la questione del bando in cima all’agenda di un incontro alla Casa Bianca, insistendo che rimanere nel consiglio fosse il modo migliore per “fare del bene”.
Ma c’era una linea rossa che nemmeno il suo pragmatismo poteva superare: il clima. Per mesi, Musk si adoperò instancabilmente per convincere Trump a non ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, un patto globale storico per la riduzione delle emissioni. Fece pressioni dirette sul presidente, attraverso altri funzionari della Casa Bianca e tramite i consigli di cui faceva parte. Il 31 maggio 2017, con la decisione di Trump ormai imminente, Musk lanciò un ultimatum pubblico su Twitter: se gli Stati Uniti avessero abbandonato l’accordo, lui non avrebbe avuto “altra scelta se non quella di lasciare i consigli”.
Il giorno seguente, 1° giugno 2017, Trump annunciò dal Giardino delle Rose della Casa Bianca la sua decisione di ritirare il paese dall’accordo, definendolo un patto che danneggiava l’economia americana a vantaggio di altre nazioni. La reazione di Musk fu immediata e risoluta. Mantenendo la parola data, twittò la sua rinuncia: “Lascio i consigli presidenziali. Il cambiamento climatico è reale. Abbandonare Parigi non è un bene per l’America o per il mondo”.
Questa mossa del 2017 non fu solo un disaccordo su una singola politica; rappresentò una dichiarazione di principio, una linea morale e scientifica che Musk non era disposto a valicare. Si posizionò come un difensore della scienza e della sostenibilità contro il populismo di un presidente che aveva definito il cambiamento climatico una “bufala”. Questo episodio diventa quindi una lente critica fondamentale attraverso cui analizzare tutta la sua successiva evoluzione politica. Il suo clamoroso ritorno al fianco dello stesso politico nel 2024 solleva interrogativi profondi. La sua posizione del 2017 era solo una mossa calcolata per placare la sua base di clienti e investitori, o la sua ideologia si è trasformata così radicalmente da relegare la crisi climatica in secondo piano rispetto ad altre battaglie, come la sua crociata contro il “virus della mente woke” e la spesa pubblica? La rottura sull’Accordo di Parigi non è solo un evento del passato, ma il punto di ancoraggio che rivela la profonda contraddizione al cuore della sua traiettoria politica, trasformando la sua storia da una semplice cronaca di un rapporto altalenante a un’indagine sulla metamorfosi ideologica di una delle figure più potenti del nostro tempo.
Interludio, Riammissione e Svolta a Destra (2018-2023)
Anni di Distanza e Animosità
Dopo la rottura del 2017, i rapporti tra Elon Musk e Donald Trump rimasero freddi e distanti per anni, spesso sfociando in aperta ostilità. Lungi dall’essere alleati in attesa di riconciliazione, i due si scambiarono frecciate pubbliche che ne sottolineavano l’incompatibilità. Il culmine di questa animosità si raggiunse nel 2022. Durante un comizio in Alaska, Trump, irritato dal fatto che Musk avesse dichiarato di aver votato per i Democratici in passato, lo etichettò senza mezzi termini come un “bullshit artist” (un artista delle stronzate). La risposta di Musk non si fece attendere e fu altrettanto tagliente. Attraverso Twitter, definì Trump un “toro in una cristalleria” la cui presenza sulla scena politica era dannosa, suggerendo che fosse giunto il momento per lui di “appendere il cappello al chiodo e navigare verso il tramonto”. Questi scambi non erano semplici battute, ma la prova di un antagonismo genuino che rendeva ancora più impensabile la loro futura, strettissima alleanza.
In questo periodo, Musk iniziò a segnalare un cambiamento nel suo orientamento politico. Sebbene avesse votato per i Democratici fino al 2020, nel maggio 2022 dichiarò che il partito era diventato quello “della divisione e dell’odio” e che da quel momento in poi avrebbe votato per i Repubblicani. Inizialmente, il suo sostegno non andò a Trump, ma al suo potenziale rivale per la nomination repubblicana, il governatore della Florida Ron DeSantis, la cui campagna presidenziale fu lanciata in modo alquanto caotico proprio durante una discussione su Twitter Spaces ospitata da Musk nel maggio 2023.
L’Acquisizione di Twitter: Una Mossa Politica
L’evento che più di ogni altro ha segnato la svolta politica di Musk e ha gettato le basi per la sua futura riconciliazione con Trump è stata l’acquisizione di Twitter per 44 miliardi di dollari nell’ottobre 2022. Questa non fu una semplice transazione commerciale, ma un atto dal profondo significato politico. Musk si autoproclamò un “assolutista della libertà di parola” e si pose l’obiettivo di trasformare la piattaforma (presto ribattezzata X) in un baluardo contro quella che percepiva come una censura dilagante da parte della sinistra e dei media tradizionali. La sua visione era quella di un’arena pubblica più libera, dove anche le voci scomode e controverse potessero esprimersi, un’idea che lo mise in rotta di collisione con le precedenti politiche di moderazione dei contenuti del social network.
“Vox Populi, Vox Dei”: La Riammissione di Trump
Il culmine di questa nuova filosofia si manifestò nel novembre 2022, a meno di un mese dall’acquisizione. Musk decise di affrontare direttamente la questione più spinosa di tutte: il bando permanente di Donald Trump dalla piattaforma, imposto dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Invece di prendere una decisione unilaterale, Musk scelse una via scenografica e populista: lanciò un sondaggio di 24 ore chiedendo agli utenti di Twitter se l’account di Trump dovesse essere ripristinato.
Il risultato fu estremamente risicato: con oltre 15 milioni di voti, il “sì” prevalse con il 51,8%. Forte di questo mandato popolare, Musk annunciò la decisione con un tweet trionfale: “Il popolo ha parlato. Trump sarà riammesso. Vox Populi, Vox Dei” (La voce del popolo è la voce di Dio). Sebbene Trump inizialmente avesse dichiarato di non avere interesse a tornare su Twitter, preferendo la sua piattaforma Truth Social, la mossa di Musk fu un segnale inequivocabile.
Questo atto ha rappresentato un punto di non ritorno. Con la riattivazione dell’account di Trump, Musk non stava semplicemente applicando una nuova policy sulla libertà di parola. Stava compiendo una scelta che avrebbe alterato radicalmente il panorama politico in vista delle elezioni del 2024. Ha trasformato il suo ruolo da proprietario di una piattaforma tecnologica, arbitro di regole di contenuto, a quello di un attore politico attivo e potentissimo, un vero e proprio kingmaker. La decisione non era più una questione di moderazione aziendale, come lo era stata la sospensione originale, ma un plebiscito personale, orchestrato e legittimato da un singolo individuo con il potere di restituire il più grande megafono del mondo a un ex e futuro candidato presidenziale. In quel momento, Musk ha dimostrato che il controllo delle infrastrutture digitali equivale a una forma di potere politico smisurato, un potere che gli permetteva non solo di influenzare la conversazione, ma di decidere chi potesse parteciparvi. Fu il primo, e forse più decisivo, dispiegamento della sua nuova forza, un’anticipazione del suo futuro ruolo di finanziatore e “Presidente Ombra”.
L’Alleanza di Potere (2024-2025) – “Presidente Musk”
Il Finanziatore e il “First Buddy”
L’alleanza tra Elon Musk e Donald Trump, ricostruita sulle ceneri della loro precedente ostilità, raggiunse il suo apice durante la campagna presidenziale del 2024. Musk non fu più un consigliere cauto o un critico distante, ma si trasformò nel motore finanziario e ideologico della campagna di Trump. Divenne il più grande donatore politico individuale del ciclo elettorale, investendo la cifra sbalorditiva di 277 milioni di dollari per sostenere Trump e i candidati repubblicani a lui allineati. La maggior parte di questi fondi fu incanalata attraverso il suo super PAC, chiamato “America PAC”, consolidando il suo status non solo di alleato, ma di vero e proprio mecenate del ritorno di Trump al potere.
Dopo la vittoria elettorale di Trump nel novembre 2024, l’influenza di Musk divenne ancora più manifesta e diretta. Divenne una figura “onnipresente” a Mar-a-Lago, il quartier generale di Trump in Florida. La sua vicinanza al Presidente eletto era tale che i media e gli osservatori politici iniziarono a usare soprannomi che ne descrivevano il potere smisurato: fu definito “una via di mezzo tra un co-presidente non ufficiale e il ‘primo amico’” e, più incisivamente, “Presidente Musk” o “Presidente Ombra”. Questi appellativi, nati quasi per scherzo, riflettevano una realtà inquietante: un cittadino privato, non eletto e senza alcuna carica formale, stava esercitando un’influenza enorme sulla transizione presidenziale e sulla futura agenda politica del paese. La sua mano fu evidente già a dicembre, quando contribuì a far fallire una legge di finanziamento del governo, un’azione che portò alcuni commentatori a chiamarlo “Shadow President Elon Musk”.
DOGE: Il Dipartimento per l’Efficienza del Governo
L’influenza informale di Musk fu presto formalizzata. Trump, in linea con la sua promessa di “bonificare la palude” di Washington, annunciò la creazione di un’entità governativa completamente nuova e temporanea: il Dipartimento per l’Efficienza del Governo, popolarmente noto con l’acronimo DOGE (un richiamo ironico alla criptovaluta Dogecoin, amata da Musk). A guidare questo potente dipartimento furono chiamati proprio Elon Musk e un altro imprenditore tech, Vivek Ramaswamy.
La missione di DOGE era tanto ambiziosa quanto radicale: condurre un audit completo del governo federale, eliminare ogni forma di spesa superflua, smantellare la burocrazia inefficiente e applicare un approccio manageriale alla gestione dello Stato. Questo incarico era la perfetta incarnazione della visione del mondo di Musk, un misto di techno-soluzionismo e disprezzo per quella che lui chiamava la “burocrazia” e il “virus della mente woke” nelle istituzioni. Per Trump, Musk portava credibilità tecnologica e la promessa di una revisione radicale dell’apparato statale; per Musk, Trump offriva il potere esecutivo necessario per mettere in pratica la sua ideologia.
Questa alleanza del 2024 rappresentava molto più di un semplice accordo politico. Era la fusione di due potenti e potenzialmente pericolose correnti ideologiche: il populismo nazionalista di Trump e il libertarianismo techno-autoritario di Musk. Si trattava di una relazione simbiotica. Trump, con il suo messaggio anti-establishment, offriva a Musk la legittimità del potere statale e un mandato popolare per smantellare quella “palude” burocratica che entrambi disprezzavano. A sua volta, Musk forniva a Trump un’aura di innovazione tecnologica, un sostegno finanziario senza precedenti e un canale di comunicazione diretto con milioni di follower attraverso la piattaforma X.
Il risultato di questa fusione fu uno scenario senza precedenti nella storia americana: un CEO non eletto, senza alcuna conferma da parte del Senato, a cui venivano di fatto consegnate le chiavi per ristrutturare il governo federale. Questo ha sollevato interrogativi fondamentali sulla responsabilità democratica e sulla crescente privatizzazione del potere statale. Il soprannome “Presidente Ombra” non era più solo una battuta, ma la descrizione accurata di una nuova e inquietante realtà in cui i confini tra lo Stato e le grandi corporazioni tecnologiche si erano fatti pericolosamente labili.
La Grande Rottura (Maggio-Giugno 2025) – Guerra Totale
Le Prime Crepe nell’Alleanza
L’idillio tra il Presidente e il suo “First Buddy” si rivelò effimero. La stessa ideologia che aveva unito Trump e Musk divenne la causa della loro rottura. Il pomo della discordia fu il “One Big Beautiful Bill”, la legge di bilancio che rappresentava la pietra angolare del secondo mandato di Trump, contenente tagli fiscali e nuove spese per le sue priorità, come la sicurezza al confine. Per Musk, la cui intera missione a capo di DOGE era ridurre la spesa pubblica e il debito, questo provvedimento era un tradimento.
Alla fine di maggio del 2025, in un’intervista a CBS News, Musk espresse pubblicamente la sua delusione, definendo la legge un “massiccio disegno di legge di spesa” che, invece di diminuire, avrebbe aumentato il deficit di bilancio, minando alla base tutto il lavoro del suo team. Le critiche si fecero sempre più aspre. Su X, definì la legge “completamente folle e distruttiva”, un'”abominazione disgustosa” che avrebbe messo a rischio milioni di posti di lavoro e causato un “danno strategico immenso” agli Stati Uniti. Il 30 maggio 2025, dopo un ultimo incontro con Trump nell’Ufficio Ovale, Musk lasciò formalmente il suo ruolo nell’amministrazione.
La Guerra Digitale del 5 Giugno 2025
Ciò che seguì fu un’escalation di violenza verbale che si consumò in poche ore, principalmente il 5 giugno 2025, sotto gli occhi di un pubblico globale.
- La conferenza stampa di Trump: Durante un incontro con il cancelliere tedesco nell’Ufficio Ovale, trasmesso in diretta TV, a Trump fu chiesto conto delle critiche di Musk. Visibilmente irritato, si disse “molto deluso” dal suo ex alleato, che aveva “sempre apprezzato”. Trump attribuì l’opposizione di Musk a motivi puramente egoistici: la rabbia per i tagli ai sussidi per i veicoli elettrici (EV) contenuti nella legge. Minimizzò poi il contributo di Musk alla sua vittoria, affermando che avrebbe vinto la Pennsylvania anche senza di lui.
- La replica di Musk: Mentre Trump parlava, Musk replicava in tempo reale su X. Respinse l’idea che la sua fosse una battaglia per i sussidi, affermando che Trump poteva tenerseli, purché la legge fosse “snella e bella”. Poi, l’affondo: “Senza di me, Trump avrebbe perso le elezioni”, scrisse, definendo la versione del presidente una “bugia così ovvia” e un atto di “tale ingratitudine”.
- Le minacce di Trump: La faida si spostò su Truth Social, la piattaforma di Trump. Il Presidente passò al contrattacco diretto, minacciando di usare il potere del governo contro le aziende di Musk. “Il modo più semplice per risparmiare miliardi e miliardi di dollari nel nostro bilancio è terminare i sussidi e i contratti governativi di Elon”, scrisse, un avvertimento che metteva a rischio i lucrosi accordi di SpaceX con la NASA e i crediti fiscali per Tesla.
- La “Bomba” di Musk: La reazione di Musk fu di una gravità inaudita. In un tweet che avrebbe presto cancellato, ma non prima che fosse visto da milioni di persone, scrisse: “È ora di sganciare la bomba davvero grande: @realDonaldTrump è nei file di Epstein. Questa è la vera ragione per cui non sono stati resi pubblici”. Era un’accusa esplosiva che legava il Presidente al più grande scandalo sessuale degli ultimi decenni.
Le conseguenze furono immediate. Trump dichiarò ai giornalisti di non avere alcun interesse a parlare con Musk e che avrebbe venduto la sua Tesla personale, acquistata solo pochi mesi prima per promuovere l’azienda dell’allora alleato. La faida divenne una notizia internazionale, tanto da suscitare commenti persino da parte di funzionari russi.
Questa rottura non fu il risultato di un’antipatia personale o di un disaccordo su una singola legge. Fu lo scontro inevitabile tra due visioni del mondo fondamentalmente incompatibili, che avevano trovato un’alleanza temporanea solo per la convergenza dei loro nemici. Il populismo di Trump si basa sulla necessità politica di distribuire benefici tangibili alla sua base elettorale, come tagli fiscali e programmi di spesa, anche a costo di aumentare il debito pubblico. La sua è una logica transazionale e politica. Al contrario, il libertarianismo tecnologico di Musk è un’ideologia purista, quasi dogmatica, ossessionata dall’efficienza matematica e dalla responsabilità fiscale. Per lui, il debito nazionale non è uno strumento politico, ma un bug catastrofico nel sistema operativo del paese, un fallimento che porta inevitabilmente al collasso.
Quando i bisogni populistici di Trump si sono scontrati con la linea rossa ideologica di Musk sul deficit, l’alleanza si è frantumata. Trump ha interpretato l’opposizione di Musk come un tradimento personale motivato dall’avidità (i sussidi per le auto elettriche). Musk, d’altra parte, ha visto la legge di Trump come un tradimento della sanità fiscale e dei principi per cui aveva accettato di servire nel governo. Stavano parlando due lingue diverse, partendo da due sistemi di valori inconciliabili. La loro “bromance” era stata un matrimonio di convenienza; il “Big Beautiful Bill” è stato semplicemente l’evento che ha messo a nudo questo abisso ideologico invalicabile.
La Nascita dell’America Party (Luglio 2025) – La Scommessa del Disgregatore
Dalla Faida al Partito
La rottura con Trump non ha lasciato Musk in un angolo a leccarsi le ferite. Al contrario, ha agito da catalizzatore per la sua mossa politica più audace e imprevedibile. Pochi giorni dopo la guerra digitale con il Presidente, Musk ha iniziato a gettare le basi per il suo nuovo progetto. Il 4 luglio 2025, Giorno dell’Indipendenza americana, ha lanciato un sondaggio sulla sua piattaforma X con una domanda diretta: “È tempo di creare un nuovo partito politico in America che rappresenti davvero l’80% di centro?”. Il risultato è stato schiacciante: su quasi 5,7 milioni di voti, l’80,4% ha risposto “Sì”.
Forte di questo mandato digitale, pochi giorni dopo, il 6 luglio, Musk ha annunciato ufficialmente la nascita del suo partito: “Oggi nasce l’America Party per restituirvi la libertà”, ha dichiarato su X. Ha accusato il sistema politico esistente di essere un “sistema monopartitico” quando si tratta di “mandare in bancarotta il nostro Paese con sprechi e corruzione”. La mossa è stata la formalizzazione della sua guerra contro quello che ha definito il “Democrat-Republican uniparty”, un’entità unica e corrotta che, a suo dire, non rappresenta più la volontà del popolo.
Piattaforma Ideologica e Strategia “Laser-Focus”
La piattaforma dell’America Party è un riflesso quasi perfetto dell’ideologia personale di Musk: un mix di conservatorismo fiscale, ottimismo tecnologico e centrismo sociale. I principi cardine includono la riduzione drastica del debito pubblico attraverso una spesa responsabile, la modernizzazione dell’esercito con intelligenza artificiale e robotica, una forte deregolamentazione (specialmente nel settore energetico), la difesa della libertà di parola e politiche pro-nataliste e pro-tecnologia. L’obiettivo dichiarato è quello di rompere il duopolio Repubblicano-Democratico e dare voce a una maggioranza silenziosa che si sente tradita da entrambi gli schieramenti.
Tuttavia, è la strategia del partito a essere veramente rivoluzionaria e non convenzionale. Musk ha chiarito fin da subito che il suo obiettivo non è vincere la presidenza (per la quale non è eleggibile, essendo nato in Sudafrica) né ottenere una maggioranza assoluta al Congresso. Il suo piano, che ha definito di “estrema forza concentrata”, è molto più chirurgico. L’America Party si concentrerà con un “focus laser” su un numero molto limitato di competizioni elettorali: solo “2 o 3 seggi al Senato” e “da 8 a 10 distretti della Camera”. In un Congresso quasi sempre diviso da margini risicatissimi, questo pugno di eletti sarebbe sufficiente per diventare l’ago della bilancia, il voto decisivo su ogni legge controversa. L’obiettivo non è governare, ma detenere un potere di veto di fatto, costringendo entrambi i partiti a negoziare e a produrre leggi che servano “la vera volontà del popolo”.
L’America Party, quindi, non va inteso come un movimento politico tradizionale. È, in essenza, l’applicazione dei principi della disruption tecnologica della Silicon Valley alla politica. Musk sta trattando la democrazia come un mercato inefficiente dominato da un duopolio. Ha identificato un fallimento del mercato (l'”uniparty” che scontenta l’80% degli elettori), ha condotto una ricerca di mercato (il sondaggio su X), e sta lanciando un “Minimum Viable Product” (un piccolo numero di candidati mirati). L’obiettivo è dispiegare questo prodotto in un punto di massima leva (un Congresso diviso) per ottenere un impatto sproporzionato rispetto all’investimento. È un tentativo di “hackerare” il sistema politico.
Questa strategia non è un segno di debolezza, ma un calcolo freddo e razionale basato sul principio di leva. Perché tentare di conquistare l’intero paese quando si può controllare il termostato legislativo con una manciata di seggi? Come ha osservato un analista, l’America Party è meno un partito e più un'”infrastruttura politica”. Musk non sta cercando di costruire un movimento di massa dal basso; sta tentando di formalizzare il potere che già detiene attraverso le sue piattaforme, la sua ricchezza e la sua influenza mediatica, trasformandolo in una leva istituzionale diretta all’interno del governo. È una riconcettualizzazione radicale dell’azione politica, un esperimento che potrebbe riscrivere le regole del potere nell’era digitale.
Il Disgregatore e il Futuro della Politica Americana
La saga di Elon Musk e Donald Trump, con il suo culmine nella creazione dell’America Party, è molto più di una faida tra due personalità titaniche. È una finestra sulle profonde trasformazioni che attraversano la politica, la tecnologia e il potere nel XXI secolo. La domanda immediata riguarda la fattibilità del progetto di Musk. Se da un lato la sua immensa ricchezza e la sua piattaforma mediatica gli conferiscono un vantaggio senza precedenti, la storia americana è un cimitero di terzi partiti. Gli ostacoli strutturali, legali e culturali sono enormi: dalla registrazione del partito presso la Commissione Elettorale Federale alla selezione dei candidati, fino al superamento delle barriere per l’accesso al voto in ogni stato. Molti esperti sono scettici, prevedendo che, sebbene Musk possa avere successo nel finanziare sfidanti nelle primarie repubblicane e rimodellare il partito dall’interno, la creazione di un terzo partito nazionale vitale sia un’impresa quasi impossibile.
Al di là della sua riuscita elettorale, il conflitto tra Musk e Trump rivela una battaglia per l’anima della destra americana e, di conseguenza, per il futuro del paese. È uno scontro tra due visioni del mondo. Da un lato, il populismo nazionalista di Trump, radicato in una nostalgia per un passato idealizzato e in una politica transazionale basata sulla lealtà personale. Dall’altro, il techno-soluzionismo di Musk, una visione globale, proiettata al futuro, ossessionata dall’efficienza e convinta che ogni problema, inclusa la politica, possa essere risolto con la giusta ingegneria e i dati corretti. La loro rottura ha messo a nudo le faglie tettoniche che attraversano il conservatorismo moderno, diviso tra queste due potenti correnti.
Infine, la vicenda solleva una questione ancora più profonda e inquietante. L’ascesa di Musk a “Presidente Ombra” e il suo successivo tentativo di creare un partito-leva rappresentano l’affermazione di una nuova forma di potere: quella dell’attore privato che, grazie al controllo di infrastrutture globali (comunicazione con X, spazio con Starlink) e di capitali paragonabili a quelli di intere nazioni, opera come un quasi-Stato. La sua storia è l’esempio più lampante di come il potere si stia spostando dalle istituzioni democratiche tradizionali a individui e corporazioni che non rispondono a un elettorato.
La scommessa di Musk con l’America Party è un esperimento che ci costringe a interrogarci: in un’era in cui un singolo uomo può influenzare elezioni, dettare politiche governative e tentare di riprogrammare il sistema politico come se fosse un software, quale è il futuro della governance democratica? La sua è una pericolosa usurpazione del potere da parte di un’élite tecnologica non eletta, o è la scossa dirompente di cui un sistema politico sclerotico e polarizzato ha disperatamente bisogno? La risposta è ancora incerta. Ma la saga di Elon Musk e Donald Trump non è solo la cronaca di un’alleanza finita male; è un’anteprima delle lotte di potere che definiranno il nostro secolo.
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