
Scadenze, trattative, minacce ai BRICS e l’impatto sul Made in Italy. Mentre Washington invia le prime “lettere bomba” ad Asia e Africa, l’UE tratta contro il tempo per evitare il baratro. Ecco cosa sta succedendo e cosa rischiamo.
Il Mondo con il Fiato Sospeso in Attesa del 1° Agosto
L’economia globale sta trattenendo il respiro. La data cerchiata in rosso sui calendari di governi e consigli di amministrazione, da Bruxelles a Tokyo, è il 1° agosto 2025. È questa la nuova, perentoria scadenza fissata dal presidente americano Donald Trump per l’implementazione di una vasta e aggressiva ondata di tariffe commerciali, una politica che lui stesso ha battezzato “Liberation Day”, il “Giorno della Liberazione”. Dopo mesi di minacce, rinvii e negoziati frenetici, il mondo si trova sull’orlo di una guerra commerciale su vasta scala.
La situazione attuale è una complessa partita a scacchi geopolitica giocata con armi economiche. Al centro di tutto si trova una strategia tariffaria multi-livello, progettata per riequilibrare il commercio globale a favore degli Stati Uniti. Mentre la Casa Bianca ha già spedito le sue “lettere bomba” con aliquote specifiche a numerosi Paesi in Asia e Africa , un negoziato ad altissimo rischio con un’Unione Europea divisa prosegue contro il tempo. A incombere su ogni mossa c’è una sfida diretta alla crescente potenza della Cina e del blocco dei BRICS , che minaccia un’escalation pericolosa. Per l’Italia, una nazione costruita sull’export, la posta in gioco è immensa, con settori chiave del Made in Italy direttamente sulla linea di tiro.
La Mappa dei Dazi di Trump – Cosa è Stato Deciso Finora?
La narrazione della crisi attuale inizia con lo sviluppo chiave più recente: il rinvio della scadenza generale per l’applicazione dei dazi, spostata dal 9 luglio al 1° agosto 2025. La decisione è stata confermata dalla portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, e formalizzata tramite un ordine esecutivo firmato da Trump. Questa mossa non è stata un atto di benevolenza, ma una decisione tattica per concedere più tempo alla finalizzazione di accordi bilaterali e, soprattutto, per intensificare la pressione sull’Unione Europea. Lo stesso Trump ha dichiarato che la nuova data è definitiva e non ci saranno ulteriori proroghe.
Le prime “Lettere Bomba”: Asia e Africa nel mirino
Nei primi giorni di luglio, l’amministrazione americana ha iniziato a rendere pubbliche le prime lettere sui dazi, pubblicandole direttamente sul social media del presidente, Truth. Questa mossa ha svelato un sistema di tariffe differenziate, che colpisce alleati e avversari con un’intensità variabile.
I primi a ricevere la notifica sono stati due dei principali alleati asiatici degli USA, il Giappone e la Corea del Sud, a cui è stato comunicato un dazio del 25%. Le lettere, quasi identiche nel contenuto, giustificano la misura citando “persistenti squilibri commerciali” e contengono un avvertimento esplicito: qualsiasi aumento tariffario come ritorsione sarà accolto con un ulteriore aumento del 25% da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, viene lasciato uno spiraglio, suggerendo che i dazi potrebbero essere riconsiderati se i mercati dei due Paesi si aprissero maggiormente alle merci americane.
Subito dopo, è seguita una cascata di altre lettere che hanno delineato un vero e proprio sistema punitivo a scaglioni, rivelando la portata globale della manovra:
- 40%: Myanmar e Laos.
- 36%: Cambogia e Thailandia.
- 35%: Serbia e Bangladesh.
- 32%: Indonesia.
- 30%: Sudafrica e Bosnia. L’aliquota per il Sudafrica è stata esplicitamente collegata alle critiche di lunga data di Trump verso le politiche interne del Paese.
- 25%: Malesia, Kazakistan e Tunisia.
Una sfumatura cruciale: nessuna “doppia tassa”
Un dettaglio fondamentale, chiarito da un funzionario della Casa Bianca, è che queste nuove tariffe specifiche per Paese non si sommeranno ai dazi settoriali già esistenti, come quelli del 25% su automobili, acciaio e alluminio importati.
Questa precisazione è essenziale per comprendere la logica sottostante. Non si tratta di una tassa indiscriminata, ma di una coercizione calibrata. L’amministrazione sta fissando un “prezzo” specifico per l’accesso di ogni Paese al mercato americano, tenendo conto delle tariffe già in vigore. Questo permette di modulare il danno economico e la leva negoziale per ogni singolo obiettivo. Ad esempio, secondo una stima di Capital Economics, proprio grazie a queste esenzioni, solo il 54% delle importazioni dal Giappone e il 46% da quelle della Corea del Sud sarebbero effettivamente soggette al nuovo dazio del 25%.
Aliquota Dazio | Paesi Coinvolti | |
40% | Myanmar, Laos | |
36% | Cambogia, Thailandia | |
35% | Serbia, Bangladesh | |
32% | Indonesia | |
30% | Sudafrica, Bosnia | |
25% | Giappone, Corea del Sud, Malesia, Kazakistan, Tunisia | |
Dati basati su comunicazioni della Casa Bianca e lettere pubblicate a inizio luglio 2025. |
L’Unione Europea al Bivio – Accordo o Guerra Commerciale?
Mentre le lettere volano verso l’Asia e l’Africa, l’Unione Europea rimane in uno stato di ansiosa attesa, non avendo ancora ricevuto una notifica formale. Questa attesa non è casuale, ma una deliberata tattica di Washington per aumentare la pressione su Bruxelles mentre il tempo stringe.
Il negoziato ad alta tensione
Sono in corso trattative intense tra i funzionari statunitensi e una squadra negoziale europea guidata dalla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Un “buono scambio telefonico” tra von der Leyen e Trump ha alimentato un cauto ottimismo , con l’UE che punta a chiudere un accordo di principio per evitare il peggio.
Sul tavolo ci sono due scenari diametralmente opposti:
- L’accordo “morbido” (il male minore): Bruxelles sta lavorando per raggiungere un’intesa basata su un dazio generale del 10% su tutti i prodotti. Questa opzione è vista da alcuni Stati membri, in particolare l’Italia, come un risultato “sopportabile” e il “male minore” per scongiurare una catastrofe commerciale.
- L’apocalisse del “no-deal”: Se i negoziati dovessero fallire, l’UE si troverebbe di fronte alla minaccia di un devastante dazio del 50% su tutte le sue esportazioni verso gli Stati Uniti. Questa eventualità, ventilata da Trump sui social media, ha già provocato ondate di panico sui mercati globali.
Un’Europa divisa
La posizione negoziale dell’UE è però indebolita da profonde divisioni interne. Da un lato, la
Francia spinge per una linea dura, sostenendo che fare concessioni sarebbe un segno di debolezza. Dall’altro, Paesi come l’
Italia sono più pragmatici e premono per un accordo rapido che limiti i danni economici.
Questa spaccatura interna è un fattore che Washington sta abilmente sfruttando. L’amministrazione americana sa che il processo decisionale europeo, basato sul consenso, è lento e complesso. Fissando una scadenza rigida e mantenendo alta la pressione, può esacerbare queste divisioni e spingere l’UE ad accettare un accordo alle condizioni americane. Le critiche di figure come Manfred Weber del Partito Popolare Europeo, che si chiede cosa stiano facendo le forze politiche europee vicine a Trump per salvare i posti di lavoro, evidenziano proprio queste faglie politiche.
A complicare ulteriormente il quadro c’è la minaccia sulla tassa sui servizi digitali. Washington ha avvertito senza mezzi termini che, se i Paesi europei procederanno con l’introduzione di imposte che colpiscono i giganti tecnologici statunitensi, ci sarà una ritorsione “immediata”, trasformando il negoziato in una vera e propria “escalation”.
Non Solo Dazi – La Partita Geopolitica con Cina e BRICS
La politica tariffaria è l’espressione più visibile di una strategia molto più ampia volta a rimodellare l’ordine economico globale. Non si tratta solo di deficit commerciali; si tratta di sfidare i concorrenti e riaffermare il primato americano.
Il fronte cinese
La relazione tra Stati Uniti e Cina rimane il dramma centrale di questa crisi. Sebbene a maggio 2025 sia stata raggiunta una tregua temporanea di 90 giorni, che ha visto gli Stati Uniti ridurre i dazi punitivi dal 145% al 30% , il conflitto di fondo è tutt’altro che risolto. Secondo quanto riferito, questa tregua è stata ottenuta dopo che Pechino ha fatto concessioni sull’esportazione di
terre rare e magneti, componenti critici per le industrie ad alta tecnologia e della difesa.
Questo episodio rivela la vera natura della strategia americana. Non si tratta di un “decoupling” (disaccoppiamento) totale dalla Cina, ma di un “de-risking” (riduzione del rischio) strategico. L’obiettivo è assicurarsi le catene di approvvigionamento vitali (come le terre rare) e, allo stesso tempo, usare dazi e sanzioni per rallentare l’avanzata tecnologica di Pechino in altri settori. Il dazio del 50% sull’acciaio e l’alluminio cinesi, che rimane in vigore, è una testimonianza di questa pressione mirata.
I BRICS sotto attacco
L’escalation geopolitica più significativa è però la minaccia diretta contro il blocco dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e i nuovi membri). Trump ha minacciato un “DAZIO AGGIUNTIVO del 10%” contro “qualsiasi Paese che si allinei alle politiche antiamericane dei BRICS”.
Questa mossa ha provocato dure reazioni. Il Cremlino l’ha definita “bullismo commerciale” , mentre il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha replicato: “Non vogliamo un imperatore… Esiste la legge della reciprocità”. I BRICS hanno emesso una dichiarazione congiunta per denunciare le misure unilaterali.
Questa minaccia rappresenta un chiaro tentativo di fermare il consolidamento di un blocco economico e politico rivale. Costringendo le nazioni neutrali o in via di sviluppo a scegliere tra l’accesso al mercato statunitense e la cooperazione con i BRICS, Washington cerca di isolare i suoi principali concorrenti e di punire chiunque aspiri a un ordine mondiale più multipolare. La disputa commerciale si trasforma così in un test di lealtà ideologica e geopolitica.
L’Impatto sull’Economia Globale – Le Previsioni degli Esperti
La “giostra dei dazi di Trump” ha iniettato un’enorme dose di incertezza nell’economia mondiale, costringendo le principali istituzioni internazionali a tagliare drasticamente le loro previsioni di crescita.
- L’OCSE ha rivisto al ribasso la crescita globale al 2,9% sia per il 2025 che per il 2026, un calo significativo rispetto al 3,3% del 2024, attribuendolo al “significativo aumento delle barriere commerciali”. La crescita degli Stati Uniti è prevista rallentare all’1,6% nel 2025.
- La Banca Mondiale prevede che la crescita globale si fermerà al 2,3% nel 2025, il livello più basso in un anno non recessivo dal 2008.
- Anche il Fondo Monetario Internazionale ha segnalato che una revisione al ribasso è probabile, con uno scenario di dazi generalizzati al 10% che avrebbe un impatto negativo considerevole sul PIL globale.
Il caos sui mercati
La reazione immediata dei mercati finanziari è stata brutale. Wall Street ha subito ripetuti “tonfi”, con l’indice S&P 500 che ha perso migliaia di miliardi di capitalizzazione nei giorni successivi agli annunci tariffari. Il
VIX, l'”indice della paura” di Wall Street, è schizzato a livelli che non si vedevano dalla pandemia di COVID-19, riflettendo l’estrema ansia degli investitori. Nel frattempo, il dollaro USA si è rafforzato contro valute come l’euro e il franco svizzero, poiché gli investitori si sono rifugiati in beni considerati più sicuri, creando ulteriori difficoltà per gli esportatori europei.
Lo spettro della stagflazione
La più grande paura a lungo termine tra gli economisti è la stagflazione, una miscela tossica di stagnazione economica (crescita bassa o nulla) e alta inflazione. Qui emerge una contraddizione palese tra la narrazione politica e la realtà economica. Da un lato, Trump sostiene che i dazi siano deflazionistici, affermando che il costo di “quasi tutti i prodotti sta diminuendo”. Dall’altro, il consenso economico è unanime: i dazi sono una tassa. Diverse analisi, inclusa una di Confindustria, hanno dimostrato che il costo dei dazi precedenti è stato trasferito quasi interamente sugli importatori e sui consumatori statunitensi. Le nuove tariffe sono destinate ad alimentare l’inflazione, costringendo la Federal Reserve a mantenere i tassi di interesse più alti più a lungo, il che a sua volta frena l’economia. Questo crea le condizioni esatte per la stagflazione.
L’Italia nel Mirino – Quanto Costa la “Guerra” di Trump al Made in Italy?
Per l’Italia, la cui salute economica dipende in modo cruciale dalle esportazioni, il mercato statunitense è di vitale importanza. Nel 2024, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti hanno superato i 64 miliardi di euro. La minaccia dei dazi, quindi, è una questione esistenziale per migliaia di imprese.
Quantificare il danno
Studi autorevoli dipingono un quadro preoccupante.
- SVIMEZ stima che un dazio statunitense del 10% provocherebbe un calo del 4,3% dell’export italiano (pari a 2,9 miliardi di euro) e la perdita di circa 27.000 posti di lavoro.
- Confindustria avverte di uno scenario ancora peggiore in caso di escalation, con un potenziale impatto negativo sul PIL dello 0,4% nel 2025 e dello 0,6% nel 2026, che di fatto azzererebbe la crescita prevista. L’associazione stima che siano a rischio 20 miliardi di euro di esportazioni e 118.000 posti di lavoro.
- L’ISTAT ha identificato 3.300 aziende italiane come particolarmente “vulnerabili” a causa della loro elevata esposizione al mercato statunitense.
L’impatto non sarà uniforme a livello geografico. Il Mezzogiorno è considerato particolarmente a rischio, con SVIMEZ che prevede un calo dell’export superiore alla media nazionale (-4,7%). Regioni come Liguria, Molise, Basilicata e Sardegna sono esposte a causa della loro forte dipendenza dagli USA come mercato di sbocco primario.
Settore | Valore Export verso USA (2024) | Note e Impatto Potenziale |
Agroalimentare | > €2 Mld (Vino, Spiriti, Aceti) | Rischio di perdita di ricavi per 323 milioni di euro all’anno solo per il vino. Colpiti anche formaggi, olio e conserve di pomodoro. |
Moda e Accessori | ~€3 Mld (Calzature, Pelletteria) | L’export di abbigliamento vale 2,3 miliardi di euro. Settore chiave, ma i brand del lusso potrebbero mostrare maggiore resilienza ai prezzi più alti. |
Meccanica e Automotive | Principale voce dell’export italiano verso USA | Settore storicamente soggetto a tariffe USA più basse rispetto a quelle UE, quindi più esposto a rialzi. Rischio significativo per componentistica e macchinari. |
Farmaceutica | Export verso USA >30% del totale del settore | Uno dei settori con il maggior numero di imprese “vulnerabili” secondo l’Istat, tra cui quelle che producono turboreattori e gioielleria. |
La risposta italiana
La risposta ufficiale del governo italiano è stata finora improntata a una cauta diplomazia. L’Italia partecipa attivamente ai negoziati a livello europeo, con alcuni esponenti della maggioranza, come il senatore Luca De Carlo (FdI), che definiscono un dazio del 10% “sopportabile”, pur riconoscendo l’errore nell’approccio di Trump. La strategia più ampia, promossa dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani, è quella di cercare nuovi mercati di esportazione per diversificare il rischio e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti.
Scenari Futuri e Strategie di Difesa
Mentre la scadenza del 1° agosto si avvicina, l’economia globale si trova su un precipizio. La strategia di “coercizione calibrata” e “incertezza armata” dell’amministrazione Trump ha portato con successo il mondo al tavolo dei negoziati, ma alle condizioni americane. Il conflitto non riguarda più solo il commercio; è una contesa geopolitica a tutto campo con il potenziale di innescare una recessione globale e di fratturare le alleanze internazionali.
I possibili scenari futuri sono principalmente due:
- Una tregua fragile: Lo scenario più probabile è un accordo dell’ultimo minuto tra Stati Uniti e Unione Europea, probabilmente incentrato su un livello tariffario del 10%. Questo eviterebbe la catastrofe del 50%, ma rappresenterebbe comunque un duro colpo al libero scambio e un costo netto per le imprese europee e italiane.
- Una guerra commerciale su vasta scala: Un fallimento dei negoziati scatenerebbe i dazi al 50%, provocando una ritorsione immediata e massiccia da parte dell’UE (probabilmente contro le Big Tech americane ) e facendo precipitare l’economia globale in una recessione profonda e dannosa.
Per l’Italia, questa crisi sottolinea una vulnerabilità critica: la sua dipendenza da pochi mercati chiave per l’export. La strategia a lungo termine, come sostenuto dal governo e da associazioni come Confindustria, deve necessariamente passare per un’aggressiva diversificazione dei mercati e per il rafforzamento dell’autonomia strategica dell’Unione Europea. Nel breve termine, tuttavia, tutti gli occhi sono puntati su Bruxelles, nella speranza che l’unità europea, per quanto fragile, possa resistere alla tempesta e strappare un accordo sull’orlo del caos economico.
FAQ / Glossario
Cos’è un dazio doganale e come funziona?
Un dazio è un’imposta indiretta che colpisce i beni quando vengono importati da un altro Paese. Viene pagato alla dogana e ha lo scopo di rendere le merci straniere più costose, proteggendo così la produzione nazionale. È uno strumento di politica protezionistica.
Perché Trump sta imponendo questi dazi? La sua strategia.
L’obiettivo dichiarato è riequilibrare il deficit commerciale degli Stati Uniti, che importa più di quanto esporta. Trump sostiene che gli USA siano stati “derubati” per decenni e vuole incentivare le aziende a produrre negli Stati Uniti (“reshoring”). In realtà, è anche uno strumento di pressione geopolitica per riaffermare il primato americano (“America First”).
Cosa rischia l’Italia concretamente?
L’Italia rischia una forte contrazione delle esportazioni, con perdite stimate in miliardi di euro e decine di migliaia di posti di lavoro a rischio. I settori più colpiti sono la meccanica, l’agroalimentare (vino, formaggi), la moda e la farmaceutica. Le regioni del Sud sono considerate particolarmente vulnerabili.
Cosa sono i BRICS e perché sono un obiettivo?
I BRICS sono un’organizzazione intergovernativa che comprende Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e altri Paesi emergenti. Sono visti da Washington come un potenziale blocco economico e politico rivale. La minaccia di un dazio aggiuntivo del 10% per i loro sostenitori è un tentativo di ostacolare la loro crescita e di forzare i Paesi a scegliere tra l’allineamento con gli USA o con questo blocco alternativo.
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