CronacaNotizie

Tragedia a Orio al Serio: Morte in Pista Riapre la Ferita delle Vittime sul Lavoro in Italia

Un uomo risucchiato dal motore di un jet. Un aeroporto in tilt. L’incidente dell’8 luglio non è solo un dramma umano, ma il sintomo di un duplice fallimento: un buco nella sicurezza nazionale e una strage, quella dei morti sul lavoro, che non si ferma. Specialmente a Bergamo, la “zona rossa” d’Italia.

Introduzione: L’Urlo Silenzioso della Pista

La mattina di martedì 8 luglio 2025, l’aeroporto di Milano Bergamo si muoveva al ritmo consueto di uno dei più trafficati scali d’Europa. Il ronzio dei motori, gli annunci multilingue, il viavai di migliaia di passeggeri: una sinfonia di ordinaria efficienza. Alle 10:20, quella sinfonia si è spezzata. Un comunicato laconico di SACBO, la società di gestione aeroportuale, ha annunciato la sospensione di tutte le operazioni di volo a causa di un “inconveniente verificatosi sulla via di rullaggio”. Per minuti interminabili, la parola “inconveniente” ha aleggiato sul caos crescente, un eufemismo inadeguato a contenere l’orrore che si stava palesando.  

Poco dopo, la verità è emersa con una brutalità sconvolgente, filtrando attraverso le prime, frammentarie notizie: una persona era morta sulla pista, risucchiata dal motore di un aereo in fase di rullaggio. La vittima, come si sarebbe appreso in seguito, era a bordo di un Airbus A320 della compagnia Pegasus Airlines. L’inconveniente era una tragedia. L’aeroporto, un hub vitale per il Nord Italia, si è trasformato in una scena del crimine, paralizzato e ammutolito.  

Questo evento drammatico solleva immediatamente domande che travalicano la cronaca di un singolo, terribile incidente. Chi era la vittima? E, soprattutto, come ha potuto un individuo non autorizzato, né passeggero né dipendente, violare il perimetro di sicurezza di un aeroporto internazionale, considerato un obiettivo sensibile, e camminare su una pista operativa?. Ma c’è una domanda ancora più profonda, che lega questa morte spettacolare e anomala a una strage quotidiana e silenziosa. Come si collega questo dramma alla contabilità infinita dei morti sul lavoro in Italia? Una piaga nazionale che, per un tragico paradosso, trova proprio nella provincia di Bergamo, motore economico del Paese, uno dei suoi epicentri più letali. La morte sulla pista di Orio al Serio non è solo la storia di un fallimento della sicurezza, ma è lo specchio di una crisi sistemica che l’Italia non riesce più a ignorare.  

Sezione 1: Anatomia di un Dramma: Minuto per Minuto a Orio al Serio

Ricostruzione degli Eventi

La dinamica della tragedia dell’8 luglio è un intreccio di fatalità e falle sistemiche. Il punto di partenza è una violazione della sicurezza quasi inconcepibile per uno scalo moderno. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, la vittima non era un passeggero in attesa di imbarcarsi né un operatore aeroportuale con regolare badge. Si sarebbe introdotto nell’area  

airside – la zona sterile e operativa dell’aeroporto – eludendo i controlli di sicurezza perimetrali. Questo primo, fondamentale fallimento ha innescato la catena di eventi successivi.  

Una volta all’interno dell’area operativa, l’uomo ha vagato fino a raggiungere una delle vie di rullaggio. È qui che, intorno alle 10:20, è avvenuto l’impatto fatale. Un Airbus A320 della compagnia turca Pegasus Airlines, in movimento sulla pista, lo ha risucchiato in uno dei suoi potenti motori. L’allarme è scattato immediatamente. Le squadre di emergenza dell’aeroporto, insieme ai Vigili del Fuoco, si sono precipitate sul posto, ma per l’uomo non c’era più nulla da fare. La scena che si è presentata ai soccorritori era drammatica, imponendo un blocco totale e immediato di ogni attività.  

La decisione di SACBO di sospendere tutte le operazioni è stata una conseguenza diretta e inevitabile. L’aeroporto di Orio al Serio è stato di fatto sigillato. L’impatto sulla fitta rete di voli è stato devastante e istantaneo. Almeno otto voli in partenza sono stati cancellati nelle prime ore, mentre un numero imprecisato di aerei già in volo verso Bergamo è stato costretto a dirottare su altri scali. Le prime informazioni parlavano di almeno sei velivoli deviati su Milano Malpensa, con altri diretti a Bologna e Verona. Migliaia di passeggeri si sono ritrovati improvvisamente bloccati, dando inizio a una giornata di caos e incertezza.  

L’Aftermath: Un Aeroporto Sotto Assedio

Mentre sulla pista operavano la Polizia di Frontiera (Polaria), i magistrati della Procura di Bergamo e gli ispettori dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo (ANSV) per i primi rilievi , all’interno del terminal si consumava un altro tipo di dramma. Migliaia di viaggiatori si sono affollati davanti ai tabelloni, cercando disperatamente informazioni che arrivavano con il contagocce. Le code ai banchi delle compagnie aeree si sono allungate a dismisura, alimentando un clima di frustrazione e confusione.  

L’aeroporto è rimasto paralizzato per ore. Solo nel primo pomeriggio le operazioni sono riprese, ma in modo parziale e con enormi difficoltà. Le cancellazioni e i ritardi si sono protratti per tutta la giornata, con effetti a catena che si sono sentiti ben oltre i confini di Bergamo, alterando gli orari e le coincidenze in mezza Europa. L’incidente ha dimostrato in modo plastico la fragilità del sistema del trasporto aereo, dove un evento critico in un singolo hub può generare un’onda d’urto di portata vastissima.  

L’analisi di quanto accaduto va oltre la semplice cronaca. L’evento dell’8 luglio non è stato un singolo incidente, ma un fallimento sistemico su più livelli. In primo luogo, un cedimento della sicurezza fisica e della sorveglianza, che ha permesso la violazione del perimetro. In secondo luogo, un evento catastrofico sulla sicurezza operativa, con la morte di una persona in un’area che dovrebbe essere tra le più controllate del Paese. Infine, una crisi logistica e di comunicazione, che ha messo in ginocchio un’infrastruttura strategica nazionale. L’incidente non è stato solo una tragedia umana, ma un severo stress test per l’intero sistema aeroportuale, che ha rivelato vulnerabilità critiche nella sua capacità di prevenire, gestire e comunicare l’emergenza.

Sezione 2: L’Indagine: Un Buco nella Sicurezza o un Gesto Estremo?

Subito dopo la tragedia, si sono attivate due inchieste parallele, destinate a far luce su aspetti diversi ma complementari del disastro. La Procura della Repubblica di Bergamo ha aperto un fascicolo per accertare le responsabilità penali e ricostruire l’esatta dinamica che ha portato alla morte dell’uomo. Contemporaneamente, l’ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) ha avviato una propria indagine interna per analizzare le falle nel sistema di sicurezza e le eventuali violazioni normative che hanno reso possibile l’intrusione.  

Focus sulla Sicurezza: Come ha fatto a entrare?

Il cuore dell’indagine è una domanda tanto semplice quanto inquietante: come ha fatto un uomo a superare le barriere di uno degli aeroporti più trafficati d’Italia? La sicurezza aeroportuale è un sistema complesso, stratificato e normato da rigidi regolamenti nazionali ed europei. Le normative ENAC, ad esempio, prescrivono perimetri protetti da recinzioni robuste, con un’altezza minima di 2,5 metri e sormontate da filo spinato o concertina. Ma la difesa fisica è solo il primo livello.  

Questa barriera passiva è integrata da un sistema di difesa attiva che include sensori di vibrazione, telecamere a circuito chiuso e, sempre più spesso, telecamere termiche e radar in grado di rilevare movimenti sospetti in qualsiasi condizione di luce e meteo. A ciò si aggiungono le pattuglie umane. La violazione di questo sistema a più strati suggerisce un cedimento grave, non un singolo errore. Gli investigatori stanno esaminando ore di registrazioni delle telecamere di sorveglianza per individuare il punto esatto della breccia e capire se sia dovuta a un punto cieco nella copertura tecnologica, a un malfunzionamento o a una negligenza umana. La richiesta di un rapporto dettagliato da parte del Ministero delle Infrastrutture sottolinea la gravità della questione, che assume una valenza di sicurezza nazionale.  

Ad

Le Ipotesi sul Tavolo

Gli inquirenti lavorano su due ipotesi principali, entrambe tragiche. La prima, avvalorata da alcune testimonianze iniziali, è quella del gesto volontario. L’uomo potrebbe aver deliberatamente cercato la morte, scegliendo una modalità tanto estrema quanto plateale. Questa pista viene percorsa con la massima cautela e sensibilità, nel rispetto della vittima e dei suoi familiari, ma rappresenta una linea d’indagine prioritaria.  

La seconda ipotesi è quella di un tragico incidente seguito a un’intrusione. L’uomo potrebbe essere entrato nell’area perimetrale per altri motivi e, una volta dentro, potrebbe essersi trovato disorientato, spaventato e inconsapevole del pericolo mortale rappresentato da un aereo in manovra. Saranno l’autopsia disposta dalla Procura e l’analisi completa dei filmati a fornire elementi decisivi per distinguere tra queste due possibilità o per aprirne di nuove.  

Passato come Prologo: Una Storia di “Tragedie Scampate”

L’incidente dell’8 luglio, per quanto unico nella sua dinamica, non è un fulmine a ciel sereno per Orio al Serio. Lo scalo bergamasco è stato teatro, negli ultimi anni, di altri eventi gravissimi che hanno messo a dura prova il suo sistema di sicurezza e gestione delle emergenze, eventi che a posteriori appaiono come sinistri avvertimenti.

Il 5 agosto 2016, un aereo cargo Boeing 737-400 della DHL, in arrivo da Parigi, uscì di pista in fase di atterraggio, sfondò la recinzione e finì la sua corsa sulla tangenziale esterna. L’incidente avvenne alle 4 del mattino, un’ora in cui la strada era deserta. Fu solo per questo, come dichiarò un soccorritore, che si evitò una strage: “solo per un miracolo non abbiamo assistito a una tragedia”. L’episodio mise a nudo i rischi intrinseci di un aeroporto cresciuto a dismisura a ridosso di un’area densamente urbanizzata e trafficata.  

Più di recente, il 1° ottobre 2024, un altro incidente ha paralizzato lo scalo. Un Boeing 737 MAX della Ryanair, appena atterrato da Barcellona, subì lo scoppio di tutti e quattro gli pneumatici del carrello posteriore. L’abilità del pilota evitò un’uscita di pista che avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche, ma i cerchioni strisciarono sull’asfalto, danneggiando la pista per 450 metri e costringendo a una chiusura totale per quasi tutta la giornata. Anche in quel caso, si parlò di “tragedia scampata”. La Procura di Bergamo aprì un’inchiesta per capire le cause, ipotizzando un guasto tecnico o un errore umano, e per evitare che un simile evento potesse ripetersi.  

Questa sequenza di eventi gravi – un’uscita di pista, un guasto tecnico quasi disastroso e infine una violazione fatale della sicurezza – non può essere liquidata come una serie di sfortunate coincidenze. Suggerisce piuttosto la possibilità che all’interno del sistema di gestione della sicurezza dello scalo si sia radicato un fenomeno noto come “normalizzazione della devianza”. Questo concetto, mutuato dalla sociologia delle organizzazioni, descrive come un sistema possa gradualmente abituarsi a piccoli fallimenti, a violazioni delle regole e a “quasi-incidenti”. Ogni volta che la catastrofe viene evitata per un soffio, la fortuna può essere scambiata per resilienza, e le falle sistemiche sottostanti vengono magari corrette in modo parziale, senza una revisione fondamentale dei processi. La tragedia dell’8 luglio potrebbe essere il terribile, e forse prevedibile, punto di arrivo di questo percorso: il giorno in cui la fortuna è finita.

Sezione 3: Oltre la Cronaca: Quando il Lavoro Uccide

La morte di un uomo sulla pista di Orio al Serio, per quanto anomala, non può essere isolata dal contesto in cui è avvenuta. Sebbene la vittima non fosse un dipendente aeroportuale, il suo decesso è avvenuto all’interno di un complesso industriale ad alto rischio, a causa di un cedimento dei suoi sistemi di sicurezza. Per questo, la sua fine diventa un simbolo potente e tragico di una crisi nazionale più ampia e radicata: la strage continua dei morti sul lavoro.

Il Bollettino di Guerra Nazionale

I dati del 2025 descrivono una situazione drammatica, un’emergenza che non accenna a placarsi. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega Engineering sui dati INAIL, il primo trimestre dell’anno si è chiuso con un bilancio terribile: 210 vittime sul lavoro in tutta Italia, con un aumento del 9,9% rispetto alle 191 dello stesso periodo del 2024. Il trend è confermato dai dati successivi, che portano il totale delle vittime a 286-291 nei primi quattro mesi dell’anno.  

Di queste 210 morti registrate tra gennaio e marzo, 150 sono avvenute “in occasione di lavoro”, cioè durante l’attività lavorativa vera e propria, mentre 60 sono state classificate come “in itinere”, ovvero durante il tragitto tra casa e luogo di lavoro.  

IndicatoreI Trimestre 2024I Trimestre 2025Variazione %
Vittime Totali191210+9.9%
Morti in Occasione di Lavoro101 (bimestre)150 (trimestre)+11% (su bimestre)
Morti in Itinere27 (bimestre)60 (trimestre)+33% (su bimestre)

Esporta in Fogli

Fonte: Elaborazione su dati Vega Engineering/INAIL. I dati di confronto per il 2024 sono parziali e si riferiscono al primo bimestre.  

Chi Rischia di Più? I Lavoratori più Fragili

L’analisi demografica delle vittime rivela una realtà scomoda: a morire sono soprattutto i lavoratori più vulnerabili, per età o per nazionalità. L’incidenza di mortalità più alta si registra tra i lavoratori con più di 65 anni, seguita dalla fascia 55-64 anni. Quest’ultima, che dovrebbe rappresentare il culmine dell’esperienza e della consapevolezza del rischio, è invece quella che paga il tributo più alto in termini di vite umane in valore assoluto.  

Un altro dato allarmante riguarda i lavoratori stranieri. L’incidenza di mortalità per questa categoria è sistematicamente più che doppia rispetto a quella dei colleghi italiani. Nel primo trimestre del 2025, si contavano 11,9 morti ogni milione di occupati stranieri, contro i 5,6 degli italiani. Questo divario drammatico è il sintomo di un sistema che spesso confina i lavoratori migranti nei settori più pericolosi, con contratti più precari e con minori tutele e formazione, anche a causa delle barriere linguistiche.  

I Settori della Morte

La mappa del rischio disegna una geografia precisa dei settori più letali. Ai primi posti, quasi sempre, si trovano le Attività Manifatturiere e le Costruzioni, ciascuno con 21 vittime nel primo trimestre del 2025. Subito dopo, con 18 decessi, si posiziona il settore  

Trasporti e Magazzinaggio. Questo dato è fondamentale per comprendere il contesto della tragedia di Orio. Un aeroporto, infatti, non è un’entità monolitica, ma un ecosistema complesso dove i settori a più alto rischio della nazione si incontrano e si sovrappongono.  

Un aeroporto come quello di Bergamo è contemporaneamente un gigantesco cantiere edile, per via dei continui piani di ampliamento ; è uno dei più importanti hub logistici d’Italia, cuore pulsante del trasporto merci e del magazzinaggio ; è un’enorme officina, dove si svolgono complesse attività di manutenzione assimilabili al settore manifatturiero; ed è un vasto centro commerciale. I rischi che le statistiche nazionali mostrano distribuiti sul territorio, qui sono concentrati e amplificati all’interno di un unico perimetro recintato. L’ambiente in cui è avvenuta la tragedia dell’8 luglio è, per sua natura, un luogo statisticamente predisposto a incidenti gravi e mortali, anche per il personale altamente specializzato. Questo rende il fallimento della sicurezza, che ha permesso a un civile di accedere a un’area così pericolosa, ancora più grave e inescusabile.  

Sezione 4: La Lente su Bergamo: Radiografia di una “Zona Rossa”

Analizzare la piaga dei morti sul lavoro in Italia significa inevitabilmente puntare i riflettori sulla Lombardia e, in particolare, sulla provincia di Bergamo. Qui emerge un quadro complesso e contraddittorio, un paradosso che vede la regione più produttiva del Paese lottare con un primato di cui farebbe volentieri a meno.

Il Paradosso di Bergamo

La Lombardia detiene costantemente la maglia nera per il numero assoluto di decessi sul lavoro: 37 vittime nel primo trimestre del 2025. Tuttavia, se si rapporta questo numero alla vastissima popolazione lavorativa, l’incidenza di mortalità della regione (5,7 decessi per milione di occupati) risulta inferiore alla media nazionale (6,3). Questo posiziona la Lombardia in “zona gialla”, una fascia di rischio medio-basso.  

Ma questo dato aggregato nasconde una realtà drammatica. All’interno della “sicura” Lombardia, esistono territori ad altissimo rischio. La provincia di Bergamo è la più evidente. Con un’incidenza di mortalità di 10,1 decessi per milione di lavoratori nel primo trimestre del 2025, Bergamo si colora di “zona rossa”, indicando un livello di pericolo quasi doppio rispetto alla media italiana. È un’anomalia sconcertante: una delle aree economicamente più dinamiche d’Europa è anche una delle più letali per chi ci lavora.  

ProvinciaN. Morti (Q1 2025)Incidenza (per milione)Zona di Rischio
Bergamo810.1Rossa
Cremona312.7Rossa
Brescia77.2Arancione
Como37.6Arancione
Lecco26.9Arancione
Milano115.2Gialla
Monza Brianza35.0Gialla

Esporta in Fogli

Fonte: Elaborazione su dati Vega Engineering. Dati aggiornati a marzo 2025.  

Alla Ricerca delle Cause

Perché Bergamo è una “zona rossa”? Le ragioni sono complesse e affondano le radici nel suo tessuto produttivo. La provincia vanta una densità industriale tra le più alte d’Italia, con una forte specializzazione proprio in quei settori che le statistiche nazionali indicano come più pericolosi: manifatturiero, edilizia, metalmeccanica e logistica.

In questo contesto, il ruolo dell’aeroporto di Milano Bergamo è cruciale. La sua crescita esponenziale, con 17,3 milioni di passeggeri e un utile di quasi 14 milioni di euro nel 2024 , ha agito da potentissimo volano economico, ma ha anche imposto ritmi forsennati alla filiera logistica e dei trasporti. La pressione per garantire velocità ed efficienza in un hub globale può, se non adeguatamente gestita, portare a un allentamento delle maglie della sicurezza, a ritmi di lavoro insostenibili e a una maggiore esposizione al rischio per gli operatori.  

A questo si aggiunge un modello produttivo basato su una fitta rete di appalti e subappalti, tipico del settore edile ma diffuso anche in altri ambiti. Questa frammentazione della catena del lavoro, spesso denunciata dai sindacati, può portare a una polverizzazione delle responsabilità in materia di sicurezza. Quando un lavoratore opera per un’azienda subappaltatrice, per conto di un’impresa appaltatrice, all’interno di un sito gestito da un terzo soggetto, diventa difficile persino individuare chi sia il responsabile ultimo della sua formazione e della sua incolumità.

Il paradosso di Bergamo, quindi, non è solo un’anomalia statistica, ma l’espressione di un conflitto profondo tra crescita economica e costo umano. I fattori che alimentano il successo economico della provincia – un’industria vivace, un hub logistico di prim’ordine, una grande flessibilità produttiva – sono gli stessi che creano un ambiente di lavoro ad alto rischio. La tragica contabilità dei morti sul lavoro a Bergamo è il lato oscuro del suo miracolo economico. Ci si trova di fronte a una domanda scomoda e ineludibile: questo elevato costo umano è un prezzo accettabile per la prosperità? La risposta che una società civile dà a questa domanda definisce il suo stesso livello di civiltà.

Sezione 5: Le Voci Ignorate: Sindacati, Istituzioni e un Dialogo tra Sordi

Di fronte alla strage quotidiana, la voce dei sindacati si leva con una costanza che rasenta la frustrazione. Le sigle confederali CGIL, CISL e UIL ripetono da anni un mantra che sembra cadere nel vuoto. Le loro richieste sono chiare e concrete: più ispettori del lavoro per intensificare i controlli, più formazione, soprattutto per i lavoratori stranieri, l’introduzione di una “patente a punti” per le imprese che premi le virtuose e penalizzi quelle che violano le norme sulla sicurezza, e l’istituzione del reato di “omicidio sul lavoro” per dare un segnale forte contro l’impunità.  

Ogni tragedia è seguita da un copione tristemente noto. Le segreterie provinciali, come quelle di Bergamo di Feneal UIL, Filca CISL e Fillea CGIL, esprimono cordoglio e rabbia, ribadendo la necessità di non abbassare la guardia. Spesso, però, le loro richieste di confronto con le aziende coinvolte per verificare contratti e condizioni di sicurezza cadono nel vuoto, in quello che definiscono un “dialogo tra sordi” e un “atteggiamento inaccettabile”.  

Il problema è sistemico. Le organizzazioni sindacali denunciano da tempo il sotto-organico cronico degli enti preposti al controllo, come l’Ispettorato del Lavoro e i servizi di prevenzione delle ASL. Una stima citata dalla CGIL di Modena è impietosa: con le forze attuali, un’azienda ha la probabilità di essere ispezionata una volta ogni vent’anni. Una frequenza talmente bassa da vanificare qualsiasi effetto deterrente.  

La Sicurezza negli Aeroporti: Una Sfida Nazionale

La tragedia di Orio al Serio, pur con la sua specificità, non è un caso isolato nel panorama aeroportuale italiano. Gli scali nazionali, ecosistemi complessi e ad alto rischio, sono stati teatro di altri incidenti mortali che dimostrano come la sfida della sicurezza sia una questione nazionale.

Negli ultimi anni, incidenti mortali hanno colpito anche gli aeroporti di Roma Fiumicino e Bologna. A Fiumicino, un operaio di 61 anni è morto dopo essere stato colpito da tubi di ferro durante operazioni di scarico. A Bologna, un lavoratore di 52 anni è stato schiacciato da un camion durante lavori di asfaltatura notturna su una pista. In entrambi i casi, le reazioni dei sindacati e delle società di gestione (come Aeroporti di Roma – AdR) hanno ricalcato uno schema noto: cordoglio, richiesta di chiarezza e promesse di collaborazione con le autorità. Questi episodi, sommati a quello di Genova dove un operatore è morto finendo in mare con l’auto di servizio durante un’ispezione notturna della pista , dipingono un quadro preoccupante. La pressione per ridurre i tempi delle lavorazioni, specialmente quelle notturne per non interferire con l’operatività diurna, viene indicata dai sindacati come una delle principali cause di incidenti. La sicurezza nei luoghi di lavoro, e in particolare in ambienti complessi come gli aeroporti, rimane una battaglia aperta su tutto il territorio nazionale.  

Conclusione: Sicurezza a Due Velocità? Le Domande Che Restano Sulla Pista

La pista dell’aeroporto di Orio al Serio, rimasta silenziosa e inerte per ore l’8 luglio, è la metafora perfetta di una pausa forzata in un sistema che venera la velocità, l’efficienza e la crescita continua. La tragedia che si è consumata su quell’asfalto ha intrecciato in un unico, drammatico evento tre narrazioni che l’Italia fa fatica ad affrontare: il dramma di una vita spezzata, il fallimento critico della sicurezza di un’infrastruttura nazionale e l’interminabile strage dei morti sul lavoro, che trova nella provincia di Bergamo un epicentro tanto ricco quanto pericoloso.

L’inchiesta della Procura e le verifiche dell’ENAC dovranno dare risposte tecniche e giudiziarie. Ma le domande che questo evento lascia in eredità sono più ampie e chiamano in causa le istituzioni, il mondo delle imprese e la società civile nel suo complesso.

Come potranno SACBO, ENAC e il Ministero garantire che una violazione della sicurezza di questa portata non si ripeta mai più, né a Bergamo né in alcun altro scalo italiano? È sufficiente affidarsi a recinzioni più alte e a telecamere più sofisticate, o è necessaria una profonda revisione della cultura della sicurezza?

Di fronte a dati che mostrano un aumento costante delle vittime, il quadro normativo e sanzionatorio attuale è ancora adeguato? O la richiesta dei sindacati di introdurre il reato di “omicidio sul lavoro” è diventata un passo non più rinviabile per affermare il principio che la vita umana vale più del profitto?

Infine, cosa intendono fare le istituzioni politiche ed economiche di Bergamo e della Lombardia per risolvere il paradosso di una “zona rossa” della sicurezza incastonata nel cuore di una delle aree più ricche d’Europa? Si può continuare a celebrare la crescita economica ignorandone il costo umano?

L’immagine di quella pista vuota dovrebbe rimanere impressa nella memoria collettiva. Un monito. La domanda finale è se quella tragica pausa, imposta dalla morte di un uomo, sarà abbastanza lunga da innescare una riflessione seria e un cambiamento reale, o se, una volta rimosso il corpo e riavviati i motori, il sistema riprenderà la sua corsa, in attesa che il prossimo nome si aggiunga alla lista infinita di una strage che non può più essere considerata un’inevitabile fatalità.

#OrioAlSerio #IncidenteAereo #MortiSulLavoro #SicurezzaSulLavoro #Bergamo #TragediaOrio #Lavoro #Inchiesta #SicurezzaAeroportuale #Cronaca #Italia #Lombardia #StopMortiSulLavoro #SACBO #ENAC

Mostra di più

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio